Sali a Baita   Do Re Mi
Fa
Sol
 


Di quel
che passa
si scrive,
si canta,
si balla.

Di quel
che resta
ci bastan
gli occhi.

 

31.5.05

 
Quel che faremo a Beseno.

Dispiegheremo la pazzia in maniero
poichè il castello sarà il luogo della memoria e dell'incerto
quel week end a Beseno.
Ecco cosa faremo.
Ci sarà festa, tutti i paesini lì attorno convoglieranno alla rocca
e qualcuno inaugurerà, qualcun altro metterà in mostra
altri proietteranno
tra musica, armature, natura.
Poi verranno anche da fuori, attratti dalla manifestazione,
che già lo fanno in tanti durante l'anno:
salgono ripidi attorno ai bastioni
e una volta dentro s'immaginano gran dame e signori.
Ma in quei due giorni
sarà splendore di corte
con menestrelli post moderni
e viandanti digitalizzati.
Noi?
Noi saremo per natura giullari.
Porteremo fra i sonagli dei nostri cappelli
l'arroganza sottile del risveglio dei sensi
poichè da sempre questo fa il buffone d'inchino:
osare la lingua salata di verità
là dove non osa la quotidianità;
coperti dal trucco dei pazziati
spargeremo la vita
quella che spesso l'esistenza depone lontano.
Risveglieremo formicolando,
ricordando a chi di voglie è stanco
che in fondo pare proprio
che la vita pare sia bella
e dimenticarla
è un oltraggio in contumacia.

#

26.5.05

 
Si va finchè ce n'è.


Va finchè ce n'è,
due pasiti a destra e poi scivola l'anca laggiù tutta che manca
torna con un besito e traccia un girotondo
poi s'asciuga dal cielo e di luna
alza gli occhi ed una canzoncina caraibica gli torna in testa
pulsa fra un ricordo e l'altro
e ne fa ritmo che ondeggia
dal sapore come di sabbia sotto i pollici
gli viene da incamminarsi bambino
per poi assottigliarsi e confrontarsi con le onde
che vanno e vengono vanno e vengono
canticchia con la lingua impastata di salsa
sembra cascare ma poi torna verticale
interroga di nuovo il mare
si sospende con il mondo un istante
e poi ritorna curioso a ballare.

#

18.5.05

 
Sto fondendo muriatico d'acido.

Formicolio e dita con morbo.
Ogni centimetro epidermico è insito d'un male che mi si è diffuso dentro.
Teso, agitato, con la caffeina d'una adrenalina sufffomigio di un urlo bestemmiato che s'attarda allo sfogo.
Sarà per questo che mi sto maculando di lotte che non m'appartengono la pelle e sento uno sfinimento latente dentro.
Diresti, curiosandomi dentro, che sto morendo.
Ma d'una falce a doppia mandata, che ti lascia in vita come puttana ad ore.
Che ti costringe alla pala della fossa, al cucito del tuo cappio o se preferite alla pistola in abbinamento alla rivista patinata d'impegno nella quale sono inserto.
Sto fondendo muriatico d'acido, sento la mancanza partire dalle unghie e sciogliermi il cuore: ho già scordato gli specchi in casa e non ho più voglia d'averne ancora.
Il serbatoio è secco di passione, la mia lingua riposa morta dove non batte più nemmeno un dente e appassiscono i fiori sulla finestra sporca della mia cella.
Non è momento per essere me stesso.

Gl'aulici sapessi non han mai picchiato il culo per terra.

#

13.5.05

 
Deciso ch'emigro.


Voluttà indecisa mi chiede il privilegio d'esser meglio di me stesso.
M'incipiglio. Accidenti, superarsi in catalessi è molto più contendersi
che restare beoti e perplessi.
Mai più.
Deciso ch'emigro.
Vado lontano e temporaneo, sbollettato e pazzo.
Vado, si dice, perchè l'andamento fa spesso ritrovar se stesso.
E allora eccomi giulivo reincollarmi lo zaino per lo spasso,
scavalcare alpino monti con salti in alto
e nascondere in maniche distanze linguistiche.
Vado un poco anche etilico
in cerca d'un parco dove schiacciare
ammazzare e onirico ripudiare un sonnellino
auspicando che mi serva, mi reintegri d'una pozione miracolosa
che alzi più del dovuto le palpebre su questa nuova mia vita
e mi ricordi almeno fosse per una frazione di tempo
che se non scrivo non rido
se non rido non vivo
se non vivo espello solo muco
e non sarei altro che di cervello eunuco
e vada via il culo.


#

5.5.05

 
I pazzi

Scendono la cera con infinita tristezza,
s'abbracciano agli alberi con lo stesso cognome
odorano di colori graduati con stellette senza punte:
odono quando c'è d'asciugar lacrime
e sanno sempre del momento migliore
quando potevi e hai lasciato un bagliore.

Stridono ai fianchi del mondo scintille lontane
e t'accarezzano senza un pegno in tuo onore:
ridono ridandoti un ricordo rotto
e screpolano le rughe del tuo incedere incerto;
cantando la tua vita sotto altre pelli
squamano serpi i tuoi giochi ribelli.

Mutano al calare del sole le loro vesti,
si tosano d'alcol in fumosi pub o bordelli:
lasciano la luce accesa sul tuo volto,
si scordano dei nomi falsi sui passaporti
e volano leggeri sui tuoi pensieri
cullandoti di lacrime ricordandoti chi eri.

#

 

 

 
   


Pixel stretti:


   


Questo è
l'ultimo
inchiostro
mercantile
fresco di
sale e rime.


Qui ultimamente
sto in compagnia
di bella gente.

 

carta

Quest'altro
invece
è a spasso
per Santiago
con le prime
piume.



Il Pallone,
se sei così vecchio,
ora l'avresti perso.

Fortuna che,
come niente,
ora è tornato
tranquillo come sempre.

Se spulci
attento
già c'è l'eco
archiviato
di quel che ero.

Comunque
di certo
rimane solo
lo Sghembo,
ed è questo:

Home.

     
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Vi lascio la punteggiatura, ma non nel mezzo: quello e' tutto fra la mia testa ed il blu.
Percio', nel caso vi piaccia per gloria o pecunia, almeno un grazie o una mancia rauca.
 
   
creativo