Sali a Baita   Do Re Mi
Fa
Sol
 


Di quel
che passa
si scrive,
si canta,
si balla.

Di quel
che resta
ci bastan
gli occhi.

 

29.8.08

 
Pasta e ceci.


Son così dentro da tanto tempo che il rindondo ormai non mi scolletta più. Ci siam fatti amici ed ogni volta che ricapita spesso ora io lo accarezzo. All'inizio era un disgusto muffato col pelo alto: ora è tutto un sorriso dietro l'altro. Senilità saccente dello scavalco brizzolato. Sarà ma mi pare sempre più che non ci sia l'uscita da questa gita a Lago Nero. Così mi fermo e perdo tempo ogni volta che qualcuno si crede di stupire. So già come va a finire, ma mi piace la copiacurva di Gauss nel suo modus operandi e così lo lascio fare. Vorrei avere ancora quel peccato originale, non sapere che oltre l'invio si nasconde un cuscino pronto ad addormentare il mondo. Perciò mi cerco in quella credenza di svolta, in quel pertugio diretto alle nocche, in quel colore dell'onda di ritorno.
Poi m'appoggio al muro, inclino l'asse delle pupille e rigetto l'universo. Ciuco sbronzato di pinte al trifoglio cerco la fortuna sulle piastrelle del cesso cadendo riverso sul mio nuovo distinto carattere estroverso.

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25.8.08

 
Sale.

Maggio a nove anni mi scendeva dai campi di grano. More disperse per selvaggi affamati di una vita d'acqua torrente. Il fieno in covone del vecchio Tone scavato a mano per chiedere il pane alle vipere. Lucciole euforiche, caldo sul ventre e corse verso il rosario. Due calci un attimo prima dell'ennesimo bucato, Borghi eterna promessa, baci sotto alle viti e uova calde scappate dal culo delle galline in fuga. Bevi che fa bene, tutto d'un sorso, viscido e rugoso come l'arriverà. I ragni giganti ed i topi fra i tondini del ferro, polvere da piegare, schiaccia la pressa, soffia e pianta il chiodo. Segna col gesso e tira il dodici per le molle di Cinisello. Il magazzino di lana di vetro ed il trial a sgommare il sentiero. In cima al monte si vede il destino ma per scrutarlo bisogna andarsi a prendere l'alba. La croce dell' Ubione si illumina a Ferragosto e la festa non ha più la voce che gira la ruota. Le lucciole chi l'avrebbe mai detto quando meno me lo aspetto arriva un vento caldo di bacio. Il milanese è un dialetto melenso che smette il canticchio al cospetto del freddo.

Brucia il bosco adesso ci piscio addosso mentre si disfano ad uno ad uno i nodi al gomitolo che si porta a spasso un micio spelacchiato. Torna da dove sei venuto, coltiva l'orto, amane i frutti e non aspettare. Le corse a derapare, le ginocchia sbucciate, il sangue sopra il labbro, le botte al calcinculo, le mani sul collo, il bagno nel fiume, le musicassette eterne.
Ruba un cioccolatino, canta a squarciagola, accarezza la testa di tua nonna.
Suonare le campane appendendosi alle funi con le mani del matto che ti alzano a volare. Mi picchiano col bastone per essere migliore, mi raccontano barzellette sconce, mi mostrano seni fintamente ingenui. Non si gioca sul piazzale, non si entra nella cava, non si mangia con le mani.
Che cosa pensi?
Sereno.

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Pixel stretti:


   


Questo è
l'ultimo
inchiostro
mercantile
fresco di
sale e rime.


Qui ultimamente
sto in compagnia
di bella gente.

 

carta

Quest'altro
invece
è a spasso
per Santiago
con le prime
piume.



Il Pallone,
se sei così vecchio,
ora l'avresti perso.

Fortuna che,
come niente,
ora è tornato
tranquillo come sempre.

Se spulci
attento
già c'è l'eco
archiviato
di quel che ero.

Comunque
di certo
rimane solo
lo Sghembo,
ed è questo:

Home.

     
    Cerca che ti passa  
   
Vi lascio la punteggiatura, ma non nel mezzo: quello e' tutto fra la mia testa ed il blu.
Percio', nel caso vi piaccia per gloria o pecunia, almeno un grazie o una mancia rauca.
 
   
creativo