Di quel
che passa
si scrive,
si canta,
si balla.
Di quel
che resta
ci bastan
gli occhi.
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14.9.04
Matassa appuntita.
Rimettere in dita i pensieri sui tasti. Avanti. Sbussolato e presunto innocente verso l'autunno del fare. Stare od andare, capire o lasciare stare: amare a distanza sbloccando l'incompreso con il telecomando del nulla è perfetto. Incrinarsi sul crinale del presunto, leggittimamente sospettare dietrologie di passione o di bisogno d'attenzione. Cercare la pelle, arroventarsi in triplice copia su lenzuoli di seta rosa e poi peccare per aver peccato e non aver commesso reato. Peccato. L'amore che non resta, l'amore che si arresta, la mancanza e la confusione dell'angoscia in rima con la pulsante angonscia del predirre il di nuovo soli. La paura singola e la paura d'essere di troppo, la voglia di regolarsi il minimo e quella di tenere parcheggiato i sentimenti sotto il divieto di sosta dell'intrusione, del non sapere dove porta l'altra mente, sentirsi incapace e demente, non riuscire ad essere i pratici del non fare niente. Volere comunque un essere presente per essere che solo numero al lotto estratto e poi dimenticato in attesa di un ambo impolverato. Averne il fabbisogno di credere nel bene e non sapere come distinguere l'agire congiunto dal canto della sirena. Ammaliata di se stessa: sia essa depilata del cibo in eccesso nella mente per vederselo dilatato in pezzettini e sbocconcellato sopra la sua voglia di essere ben accetta. Costruirsi a difesa dell'osso una capanna di'inganni di fango e aspettare che qualcuno ci soffi sopra per lavarsi dall'odio del mondo con l'amore profondo.
Quanto Amore non è il credito. Ma è il Come, adesso, a non avere debito.
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Vi lascio la punteggiatura, ma non nel mezzo: quello e' tutto fra la mia testa ed il blu.
Percio', nel caso vi piaccia per gloria o pecunia, almeno un grazie o una mancia rauca. |
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