Di quel
che passa
si scrive,
si canta,
si balla.
Di quel
che resta
ci bastan
gli occhi.
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24.9.04
Trapezisti paralleli.
Torna che il filamento di zucchero lo si sente già da un passato come se fosse un sempre. Eppure n'è trascorso, quasi un anno. Ed è, svampito, tornato. Scesa che è la luna, giochicchia sul piazzale, adornata di giostre e lucine colorate. I funamboli, la mancanza di una rete, gli acrobati i nani e coloro ai quali ci si concede per ritrovare il conforto ed assaporare quel che ora più non brucia con riflesso rosso d'avorio. Zanne tra i canini ad incidermi una lingua cesellata di scritti e di un tempo che di parole ne contava e diceva ben poche. Un anno, detto, e scorre sullo specchio la sguaiata fiducia di un disperso. Rivederlo a distanza di un metro di tempo fa tutto un altro effetto. Brutto sapore il medicinale incolore: all'inizio della cura era solo dolore. Avvento di due vite lette come Amore fra due persone andate in opposta direzione. Incontrate, scontrate, cercate ed allontanate in quel piazzale dalla pelle distante. Quando non va non va quando una cosa non va non va quando non è come non c'è ragione: mani agli occhi speri che il mondo scompaia. Assassino incensurato da un delitto mai commesso torni per fato sul recidivo luogo del reato che ti viene incontro ossuto e sguainato di seta. E quel che bruciava ora è brace e quel che non andava t'ha insegnato ad Amare e quel che ora vorresti, se potessi, è ringraziare.
Che basta un sorriso e si continua ad andare.
14.9.04
Matassa appuntita.
Rimettere in dita i pensieri sui tasti. Avanti. Sbussolato e presunto innocente verso l'autunno del fare. Stare od andare, capire o lasciare stare: amare a distanza sbloccando l'incompreso con il telecomando del nulla è perfetto. Incrinarsi sul crinale del presunto, leggittimamente sospettare dietrologie di passione o di bisogno d'attenzione. Cercare la pelle, arroventarsi in triplice copia su lenzuoli di seta rosa e poi peccare per aver peccato e non aver commesso reato. Peccato. L'amore che non resta, l'amore che si arresta, la mancanza e la confusione dell'angoscia in rima con la pulsante angonscia del predirre il di nuovo soli. La paura singola e la paura d'essere di troppo, la voglia di regolarsi il minimo e quella di tenere parcheggiato i sentimenti sotto il divieto di sosta dell'intrusione, del non sapere dove porta l'altra mente, sentirsi incapace e demente, non riuscire ad essere i pratici del non fare niente. Volere comunque un essere presente per essere che solo numero al lotto estratto e poi dimenticato in attesa di un ambo impolverato. Averne il fabbisogno di credere nel bene e non sapere come distinguere l'agire congiunto dal canto della sirena. Ammaliata di se stessa: sia essa depilata del cibo in eccesso nella mente per vederselo dilatato in pezzettini e sbocconcellato sopra la sua voglia di essere ben accetta. Costruirsi a difesa dell'osso una capanna di'inganni di fango e aspettare che qualcuno ci soffi sopra per lavarsi dall'odio del mondo con l'amore profondo.
Quanto Amore non è il credito. Ma è il Come, adesso, a non avere debito.
8.9.04
Around the clock.
Ed è che il cielo mi passa accanto, si riverenza e poi si ferma. Mi osserva, nota lo sguardo, basso: ed è un tremito di scroscio e l'acqua mi arriva sulle spalle. Tutto ad un improvviso ho un brivido, il primo, e mi dico che non può essere la febbre e che voi non dovreste essere così felici, voi tutti, mentre anche un solo Essere combatte per esserlo. Rischio mentre attraverso di essere preso, calpestato, deriso ed ho lo scollegamento della logica nella mia testa. Dentro, io non ci sono più, adesso. Parlami della passione, raccontami che cos'è, perchè sto come sto perchè non ho soluzione, perchè al dolore perchè non riesco ad arrivare al cuore perchè chi non vuole essere aiutato non lo verrà e dove ho sbagliato se sbaglio c'è stato e perchè l'Amore. Vado quasi a sbattere il confronto contro un palo, evito di incrociare lo sguardo di chi mi conosce per paura di reazioni scorrette e sincere. Nei primi due gradini trovati mi accovaccio e rannicchiato piango. Sul perchè lo faccio senza ritegno non trovo altro che il mio eco ed un singhiozzo che scroscia col fragore di un bimbo senza più protezione. E non so ignorante di risposte corroso dal lamento non trovo uno che sia uno di senso prendo con la sinistra la mia mano destra e la batto sopra lo spigolo del muro vicino.
Si sbuccia si taglia da rosa scivola rossa e almeno capisco almeno questo di dolore ce l'ha una spiegazione. La rabbia.
Allora m'inverto e tento l'implosione mi metto a ridere come la controfigura di un buffone e non serve ovviamente a niente tranne a cancellare un'altra uscita dal labirinto ed a ricordarmi che ovunque vada sono cieco nel mio vicolo di tentativi andati a vuoto. A che serve provare e tentare di sapere, svuotare il mare col bicchiere, mi dispiace mi dispiace mi dispiace non sempre si vince una casa, un letto ed un Amore. Prima si deve vivere e ad insegnarlo ci si sfoglia dentro.
4.9.04
Caramella.Caramella amara e nera è medicina d'asfalto questa sera: sotto le ruote s'inghiotte svelta bestemmio, e rauco canto il mio vuoto sul sedile accanto. Caramella amara e nera è aspra marasca sulle labbra: senza più l'odore della tua saliva chi m'imbocca ora il mondo da fotterlo in un solo morso?  Caramella amara e nera drogata effimera d'un bacio rara e vera: rieccomi riverso avverso a ritrovarmi strambare di nuovo la mia vita verso i trent'anni cercando un'ancora d'indicazione per essere grandi. Caramella amara e nera inseguo i fari del mio maggiolone: corro a spurgarmi in culo a chissà dove che il più delle volte si perde senza ragione e rimane solo la voglia di spogliarsi, Amore.
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