Sali a Baita   Do Re Mi
Fa
Sol
 


Di quel
che passa
si scrive,
si canta,
si balla.

Di quel
che resta
ci bastan
gli occhi.

 

28.10.04

 
Indice alla tempia.

Continua a sblaterarmi addosso.
Piantala, osti, che mi sporchi.
El ghe da, el continua, el rompe i bale. E che coioni.
Gli puzza il fiato, gli alitano i piedi e mi storce ovuli, ossa, ninfee, narici e bulbi quando mi sta sul collo, ad un centimetro dalla saliva.
E ultimamente lo fa spesso.
Oppresso, basta.
Basta ho detto. Togliti dal mio angolo, lasciami pisciare in giro dove mi piace: se c'ho voglia di rintonarmi in curve sghembe lasciami fare.
E no: lui mi deve guardare, mi deve consigliare, mi deve osservare e lo sento sogghignare.
Ma va a cagare.
E poi gli argomenti, le cadenze, lo scialacquio della sua turba!
Almeno sii interessante invece di obiettare e sempre bacchettare e stare e stare e stare.
E continua, un tono sotto al giro di ottava, impertinente e irriverente di metadone.
Coglione coglione coglione.
Mi giro e non scappa, scappo e mi insegue, mi siedo e mi toglie la sedia. Stardo.
Accendo lo schermo ed è li dentro, perso nel nulla ed eterno catodico.
Leggo e mi perdo dopo il terzo capoverso a causa del suo frastuono silente.
Che cazzo devo fare, ti devo sparare?
SBAM! Tanto la rosa di pallini non ti soddisferebbe, vorresti un fiore ancora più rosso.
Scordatelo che recido.

#

27.10.04

 
Vacuo.

Non ce l'ho, mi manca, non ho più un nome.
Senza di te cosa vuoi sentirmi dire da altri: che sto bene, che ho fatto la scelta giusta,
che ti cercherai il prossimo ponte?
E le storte?
Le cose negli armadi?
La stella sullo specchio?
Guarda come mi guarda quella fottuta stellina ricordati di me spiaccicata sullo specchio?
E vaffanculo.
Certo che straccerò il tuo viso.
Ma il profumo?
Me lo togli tu di dosso?
E i sogni?
Me li cancelli tu i ricordi?

Nausea mi viene,
mi troverò un cesso.

#

24.10.04

 
Lasciarsi andare

Tonfo è il trillo del mio campanello immerso, attaccato al pelo del mio cappello.
Qualcuno soffocato da un qualcosa ha cercato un rimedio al suo guaio godendo nel tenermi sottacqueo.
Mentre me ne sto senz' aria ho come compreso ad un velo di retina che ottanta anni medi in questa latrina dipinta non sono che un embolo a tempo.
E allora mi sarei detto che stare condizionale non aiuta a pensare.
Meglio incidermi un incisivo fisso e perseguirlo,
meglio non attendere e pretendere,
meglio insistere che prefiggere,
meglio un qui che un sarò.
Sprofondato nella falsa felicità da prondità rido del mio stato di precadeverico omino a termine.
Dal basco alla stupida,
dalla coppola alla bandana,
dalla tinta alla pelata:
in superficie la gente si squaglia
sotto i cambi di berretto ed io,
inzuppato d'omicidio in vittima,
rido, rido, rido.
Salgono le bolle plop plop dalle mie narici fino alla cresta divisoria e difettano un orizzonte incantato sulle stesse onde.
Solletico dalla giacca la mia riserva di grappa e scelgo mentre comincio ad agitarmi di stappare e trincarmi.
Etilico in asfissia deglutisco e mi sfido in cerca di un respiro.
Quasi ho un sogno.
Poi sfumo.

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19.10.04

 
E' la prassi.


Il vuoto restringente lascia poco nulla di spiraglio per fare passare un tacito accordo o un credulone farlocco o perlomeno l'impressione di una illusione.
Il signor freddo lo conosci di persona quando nelle tasche hai niente: prima lo hai sentito dire e nulla più ma quando ti tocca allora la questione cambia.
E' il tempo dell'imbottitura, del travaso e del contagio.
Bisogna chiamare nella radura le gonne ed i rossetti e lasciarsi tentare da qualcuno che da lontano schiamazza il tuo nome e più ti avvicini meno starnazza.
Alllungarsi i ricettori e provarsi in panni ipertesi.
Suscettibile: voglio essere maldestro e irascibile, sballottato andante senza reazione al colpo ferire.
Quasi quasi m'inforco sopra un terreno scosceso e mi divido fra quel che straccio e quel che ero.
Ho compilato tutti i moduli che mi avete chiesto.
Li lascio alla portinaia dell'Elemento.
Pùtaegia rembambida.




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16.10.04

 
Bozzolo.

Mi avvolgo nelle coperte sperando che ne rilascino il mantice.
Dopo la quarta muta forse mi usciranno parole a chiave.
Ma ora è solo vuoto quello che provo.
Non mi dire che capisci, non mi fare il compagnone, non mi stare addosso con la scusa dello sfogo.
Solo. Voglio restare solo. Voglio essiccarmi , sudare e poi sbollire.
Ai miei fianchi, afferrami e stringimi ai lati.
Schiaccia forte con le mani e poi strappa se ci riesci.
Non mi serve a niente, ho ancora male.
Male che cresce, e la notte combatte con le mie ossa e la mia pelle, che mi devasta la mente.
Non sarà più quel che non volevo vedere.
Non sarà più un’altra occasione.
Non sarà più un’attesa di un’altra attesa.
Non sarà e pensare che sarebbe bastato un niente.
Anziché nascondersi dietro le paure di malattie finte.
Perdendo di vista la gioia di vivere.
Hai fatto traballare il mondo.
E la scossa.
Alla fine.
Per ultimo.
Mi ha raggiunto.
Mi ha fatto cascare.
Capire.
Farmi male.
Che da qui.
Per terra.
La vista è diversa.
Tutta un’altra cosa.
Dalla mia incredule presunzione d’altezza.
Data da quel che ritenevo saldo.
E che invece era un mezzo abbaglio.
Sto male per quello che di futuro ho perso.
Per tutto quello che è stato incerto.
Perché se davvero per mille volte ti ho detto si poteva.
Smettere i piedi da scarpe spaiate.
E cominciare per davvero assieme a camminare.
Adesso no.
Adesso sto male.
Adesso le tue parole.
Sono che neve al sole.


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12.10.04

 
A little bit.

E' partito che cantava a cuore alto
braccio in alto con il sole stretto
per un ritorno profumato di legno
ed il ricordo cucito nel lenzuolo avvolto.

Se questo è il tuo miglior indovino
caro il mio trino qui non mi scandaglio
preferisco un altro laccio al cruccio
che un nuovo sermone da coprifuoco.

Dì solo al tuo figliolo spinato
che poteva amarlo un po' di più
questo tondo
solo amarlo un po' di più
quest'uomo
un po' di più.

Adesso non farmi l'incensiere
tu e la tua faccia da eterno carceriere
fammi almeno questo piacere
resta zitto e caprino
difronte al tuo specchio assassino.

Se questo è il tuo macello di business
il tuo sommo occhio lungo ha fallito
preferisco cicatrizzarmi di vino
che farmi un puttaniere di false promesse.

Dì solo al tuo figliolo spinato
che poteva amarlo un po' di più
questo tondo
solo amarlo un po' di più
quest'uomo
un po' di più.



#

8.10.04

 
Tempesta

Scendi
annacqua l’alcol nei miei bicchieri
scendi
riportami i brividi del mio ieri
scendi
e risvegliami i sensi
scendi
se smetti t’arrendi.

Mi hai chiesto
di essere stretto
in quel che mai sono.

Ora
fuori dalla mia terra
azzanno l’esca
quella sola mi resta.

Scendi
a coprire i lamenti
scendi
hai voglie da trasformare in serpenti
scendi
e battezzami gli stenti
scendi
a illudermi la carne di versi.

Mi hai chiesto
di essere stretto
in quel che mai sono.

Ora
fuori dalla mia terra
azzanno l’aria
quella sola mi resta.



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5.10.04

 
La mia conchiglia.

Resta sotto la sabbia spessa la mia conchiglia nascosta e protetta.
Invisibile agli occhi, si scansa al passaggio dell'acqua.
Rimane in battigia e nulla sprona la sua battaglia.
Suffissa in obliqua pendenza, incerta a indecidersi fra la marea e il bagnasciuga, lei un chissà cosa aspetta.
Zitta si insacca dal mondo senza mai per paura ferirsi di rugiada.
Preferisce fingersi pur di prendersi o farsi preda.
Smossa dal vento non fa una piega e ricerca anzi una nuova ansa.
Fugge dal destino portatore d'ansia e pur difronte ad una scelta inasprisce la sua corazza di madreperla.
A volte, sonnambula, s'accorge della sua presenza e di questa stessa non avvertita si spaventa.
Piange incredula se la spiaggia intera non si modella fra le rughe della sua testa.
E quando infine è accolta e fra due mani stretta, piangendo si ribella.



#

2.10.04

 
Inizio.

Ah bon.
Che ce ne sarebbe da spiegarti, e chi sono e come rotolavo ed il perchè del passaggio a livello con cambio annesso e poichè non mi hai detto niente e chi sei poi te.
C'è solo il momento di girarmi e riandare. Basta.
Pixel nuovi e freschi, attento alle dita sopratastiera: la vernice ancora suda.
Che le cose migliori un perchè forse non ce l'hanno addosso quasi mai.
Una riga da interlinea alta con dentro i grazie a chi palleggiava col Pallone ed ora si ritrova a fare i conti con lo Sghembo, a chi aggiornerà i link che è un poco come ristamparsi la mia via per le prossime cartoline in spedizione e a chi mi conosce solo adesso e di sghimbescio.
A tutte le anime passanti per di qua mi vien da fermarmi e stringerne i polpacci: guardarsi un poco per far conoscenza e tanta voglia di respirare sempre assieme un'aria diversa.
Si va perchè in fondo per questo io e te siamo modellati: pedalare in rotondo sopra questo orizzonte di mondo senza mai scordarsi di alzare le gengive e di non sentirsi mai pesanti.
Prometto l'andata. Al ritorno ci penseremo come sempre per strada.
Che ne vale no la pena
che i drammi sono ben altri
e qui si sta dritti e sporgenti in avanti.
Via. Stammi al passo anche stavolta, se c'hai voglia.


#

1.10.04

 
Fine.

All'improvviso
grazie
a chi fin qua
di me si è intriso.

Si cambiano i panni
si rimette lo zaino
si riscuoia la vita.

Da ora
ci si mischia di .

#

 

 

 
   


Pixel stretti:


   


Questo è
l'ultimo
inchiostro
mercantile
fresco di
sale e rime.


Qui ultimamente
sto in compagnia
di bella gente.

 

carta

Quest'altro
invece
è a spasso
per Santiago
con le prime
piume.



Il Pallone,
se sei così vecchio,
ora l'avresti perso.

Fortuna che,
come niente,
ora è tornato
tranquillo come sempre.

Se spulci
attento
già c'è l'eco
archiviato
di quel che ero.

Comunque
di certo
rimane solo
lo Sghembo,
ed è questo:

Home.

     
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Vi lascio la punteggiatura, ma non nel mezzo: quello e' tutto fra la mia testa ed il blu.
Percio', nel caso vi piaccia per gloria o pecunia, almeno un grazie o una mancia rauca.
 
   
creativo