Sali a Baita   Do Re Mi
Fa
Sol
 


Di quel
che passa
si scrive,
si canta,
si balla.

Di quel
che resta
ci bastan
gli occhi.

 

30.3.03

 
L'arrivo.

Esco a fare quattro passi...


Well, ci siamo.
Scusate se in questi giorni la scrittura sara' veloce, i pensieri sparsi e la testa altrove.
Ma succede, in cammino.
Oggi: Barcellona.
Tappa di transito, solo giusto il tempo di lasciare quattro orme sulla rambla, assaporare gli occhi degli spagnoli per un aperitivo d'incontro e osservare le bandiere della pace appese ai balconi spagnoli.
Qui va di gran moda anche appendere un drappo bianco, magari candido, con qualche minuscola scritta che faccia arrivare il messaggio al destinatario.
Ve lo dico, magari hola hola vogliate mettervi a spagnoleggiare a Buccinasco o a Cava dei tirreni. Ole!
Stasera si piglia un treno, destinazione Leon.
E domani mattina alle quattro e trenta comincia il vero cammino, anche se le persone che mi hanno indirizzato a questa scelta mi hanno ovviamente catechizzato con parole Galatina al cioccolato del tipo " in fondo, il cammino comincia dal primo desiderio di compierlo".
Spero di tenervi aggiornati.
Intanto, rotolate.
Qui, sotto un cielo grigio cenere catalano, si comincia a contar passi.

#

29.3.03

 
Intervallo di viaggio.







... Sempre pronto a partire dove chiama il destin
cavalcando senza meta dalla sera al mattin ...




- 1.

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27.3.03

 
Ad ovest di Paperino.

Tre mesi di allenamento.
Cinque chili persi.
Zero capelli in testa.
Uno zaino, una schiuma da barba mignon, due spille da balia.
Centinaia di muscoli facciali pronti al sorriso, cinque magliette, una moleskine.
Due biglietti aerei, pochi soldi, molti dubbi.
Una cartina, una guerra preventivata, un sacco a pelo.

Come al solito mi allontano e cerco.
Scontato che non riuscirò a trovarmi.


Un mare da dimenticare.
Un cuore da ricucire.
Una lacrima da trattenere.
Miliardi di passi da riscaldare.
Una bandiera multicolore,
un segno di pace da trasportare.
Borraccia per assaporare,
candela per riscaldare,
parole da scordare.
Un amico da ringraziare
una vita che non so spiegare
un altro viaggio che va a cominciare.

Una credencial.


- 3.

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22.3.03

 
Contuso e tremolante.


E' che a volte non ti viene.
A 'guera.
Dici che, e poi cosa?
Vedi che ce puoi dire, alla 'guera?
A 'guera è 'guera. Te la posso condire in rime baciate, filmare zummare imbandire o sdegnare.
Ma mica far sparire.
Sta lì, picture in picture sul 16:9 esplosioni fumo bombarda centra mira perfetto sgancia.
Ammazza.
E basta fermarmi per strada a dirmi dov'ero quando massacravano i curdi. Basta?
E basta esser pecorone arcobalenato tanto le tue canzoni nei fiori dei cannoni servono a una mazza. Basta?
E basta accusarsi qualunquisti inerti inermi ci si muove solo quando vi muovono e le altre guerre ci pucciate il biscotto dell'indifferenza. E basta?
Basta de che? Dovessimo noi smetter di scrivere, smetteranno gli altri di leggere?
Io, che son vivo, che poggio il mio culone su una sedia riscaldata, io scrivo.
Scrivo che poco importa a lor signori di quanto inutilmente possa servire incastrare parole fra pixel, scrivo che tanto critiche d'ignoranza selvatica scivolano sul monitor e intanto, amebe o amorfi che infine siate, i vostri cervelli frullano, le vostre teste parlano, i vostri occhi sgranano, la vostra pompa fa tum tum.
Vi sgurlisco. Sgrugnendo.
Poco m'importa se l'assalto che vien dal cielo iracheno libera o abbaglia, se il fluido nero che finisce incendiato inquinando il cielo di un fumo nero prima è passato in un oleodotto contenstato voluto pagato mai preso e adesso bombardato.
Mi colpisce? Mi terrorizza?
Mi fa schifo.
Ma tant'è.
Pietro, non ammainarti al canto del gallo.
Fregammocene e al passo di Topolin Topolin quali siamo rosichiamo piano piano.
Dai.

- 8.

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15.3.03

 
E' che ti ribolle dentro.


Allora si va.
Tra poco l'impulso diverrà realtà.
Come al solito prendo la mia anatomia e la mia irrequietezza me le metto nello zaino e chi s'è visto s'è visto.
Alla fine ha vinto ancora lui: ho provato a tenerlo buono cuccia giù a terra ma niente.
Monta che ti rimonta e poi ti smonta chiano chiano come sempre si è insinuato tra le piaghe delle mie vesciche indolenti.
E io hai voglia a dirgli di no.
E lui dentro a dirmi "dai".
Comincia come uno spiffero che ti raggela quel "perchè no" e va a finire che ti travolge like a rolling stone.
E quindi si va.
Tanto lo si sapeva che finiva così: butta l'occhio a sinistra e ce lo vedi lì.
Stampato pixel su pixel, bianco su schermo: viaggiare è meglio che arrivare.
Non è che uno se lo tatua virtuale senza che sia importante.
Te scrivi di quel che non sai e lui sempre li a ricordartelo che non sei animale da stalla ma da pascolo.
Te pensi di essere nato stanziale e poi ti bastan tre mesi di trenta metriquadri per non voler più ruminare basso.
Che vuoi che ti dica, benedetto figliolo: vai.
Rotola sto Pallone prima che ti stritoli di malavoglia.
Su, è tempo. Manca poco. Spazzolino, taccuino, Nino presi?
Mmm, forse Nino è meglio lasciarlo.
Ci sarebbero ben certo pastori migliori, pratici ed esperti a cui affidare i pensieri sparsi mentre mi porto a spasso anima e corpo ma in fondo lui è il solo che viva in una capanna del sudore.
Perciò può trasudare, visionare, acchiappare sogni, ma mai sparire. Indi inaffidabile ma coerente.
E poi, qualcuno deve pur badare al recinto.

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11.3.03

 
Nanti 'Ie.

Il Pallone l’anno scorso, ancor prima di avere una forma, stava già rotolando.
Aveva già così tanto asfalto alle spalle da voler provare a sollevare la polvere.
Ed in Africa, considerato l’elevato numero di piedi che girano in coppia nel fango, quando la terra asciuga, beh in Africa dicevo di polvere ce n’è così tanta da esser sazi.
E solo di questa in effetti, a volte ci si ciba proprio.
Mattina e sera.
E così il giorno dopo.
E quello dopo ancora.
Ho deciso di dare in pasto un po’ di ricordi scritti in una moleskine durante i giorni secchi in cui il Pallone è stato da quelle parti.
La copertina è nera.
Dentro, ricordi. Neri.
Mangiateli pure.
Gustateli così, non soffiateci sopra.
Si devono assaggiare con la polvere.
Altrimenti perdono tutto il sapore.

Agosto 2001 (scritti in ordine sparso)
Cosa vuoi in regalo quest’anno per il tuo compleanno?
La malaria.
Ok, faremo il possibile.
Penso che se esco immune da questo inventato parcheggio di Kumasi posso anche fare il bagno nella fogna.
Son qui ad aspettare che questo Tro-Tro si riempia e nella fanghiglia di questo caos umano vedo sfrecciare insetti di ogni tipo.
Let it be.
Comunque questo è il giorno in cui ho conosciuto la foresta.
Piacere.
E’ immensa, sconfinata, tanto da disperdere lo sguardo sempre verso l’orizzonte.
Charles qui ci è nato, non ci fa caso, ma io sono come un bimbo e sull’autobus che si inoltra nella pista in the Savana rimango stupito a vedere con gli occhi quello che ho sempre sognato.
Uao.

Kumasi è la capitale dell’etnia Ashanti in Ghana.
Tanto caotica e trafficata quanto Accra, ma almeno qui non ci sono fogne a cielo aperto.
Oggi siamo di transito credo (forse). Come sempre poi, nella vita..
Per arrivare qui ci abbiamo messo quattro ore, meno del previsto. Ora tutto dipende dal Tro-Tro.
Realizzo di essere nel cuore dell’Africa nera.
Brutta sensazione.
Qui i venditori per attirare l’attenzione ti chiamano come se dovessero chiamare un gatto o darti un bacino.
Il Daily Telegraph di oggi dà notizie che oso non ripetere.
Realizzo che il tavolo che se ne stà in parte al Tro-Tro serve all’autista come appoggio per saltare sul tetto e sistemare i bagagli con le corde.

Realizzo che nei giorni in cui sono stato a Tema ero in una reggia e che alla sera mi accompagnava a “casa” sempre George e mai un taxi.
Credo che Charles lo abbia fatto per paura di rapine. Thanks.
Qui le persone hanno una pronuncia più gutturale, aspirata.
Arrivo a destinazione dopo tre ore.
Il Tro-Tro è un Nissan furgonato abilitato 9 posti. Passeggeri: 23 circa.
Il circa è dato dai bambini nascosti sotto i sedili e fra le mie gambe.
Charles quando è partito ha fatto il segno della croce, ne ho capito il perché quando l’autista, abbandonato il parcheggio e visto il primo rettilineo, si è fiondato a 130 Km/h sulla pista.

Al villaggio dove la voce dell’arrivo del Brunì (uomo bianco) si è sparsa in fretta.
Sono in un documentario.
E sono la bestia rara.
A raccolta davanti alla baracca di Sue (sorella di Charles) c’è mezzo villaggio, bambini in testa.
Esordisco con “Accuaba!” (saluto di benvenuto in twi) e provoco una risata generale.
E’ fatta. “Ghana is free” mi urla uno e giù tutti a ridere. Mi danno tutti il cinque ,ma io abile, li sorprendo con la battuta di mano che Goffrey mi ha insegnato. E vai! Sono Amico, friend.
Ci spostiamo alla capanna di Goffrey che insiste per vederla.
Un monolocale arredato con gusto e tanto di tenda divisoria fra la zona letto (un materasso) e il soggiorno.
Niente tavolo, ma una enorme tv. Che non funziona.
Poi è la volta degli amici di Goffrey. Saluto ancora tutti (quante mani, quanti nomi!) e Nanti ‘ie a tutti (buon cammino in twi).

Prima delle 8.30 sento due volte Martha che si preoccupa nell’ordine che io abbia riposato durante il viaggio, che io abbia pregato e che abbia mangiato bene. Mento tre volte, poi se ne va contenta ricordandomi che tra pochi minuti arriverà somebody to pick you.
Ok,mi vesto in tutta fretta e mi precipito sul ciglio della pista.
Come sempre, errore di valutazione dei tempi africani: resto li per due ore.
C'è chi ci resta una vita.

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10.3.03

 
Che poi è una città.


Imbottigliamento umanoidi.Praga.
Inspira il Dotto'. Brucia il tabacco nella pipa.
Che poi è una città.
Ah, Praga è una città magica, dice come se ce la vedesse tutta li davanti alle pupille chiuse.
Lascia andare il fumo, s’allarga il panciotto e il cielo si scrive.
L’Oriente, L’ Occidente, due culture che si incontrano nel cuore del vecchio continente e che partoriscono idee folli, convinte di esserlo e generano ideali senza cesareo ma bagnati di sangue.
Praga.
Praga è un puttanaio.
Si scaccola Vincenzino. La birra è piscia, il cibo è ‘na schifezza e le donne ti si strofinano contro nei vicoli peggio che di qua, in tutta la città.
Che poi, è una città.
Si accomoda meglio, s’arrabbatta e si lustra i baffi, il Dotto’ e accarezza sulla nuca Vincenzino in un gesto che a lui, Vincenzino, gli fa schifo.
Un po’ puttana lo so si sa, tradita, sfruttata, umiliata.
Ma se dal castello che la domina te ne vai giù giù a rotta di collo sui ciottolati e il pavè che sfiora gli ori e i cristalli la corsa che fai si alimenta di un’aria che già c’era ha visto e vedrà e per quanto ti sforzi di parlarne male già ti cura e non ti lascia più andare.
Praga è un Luna Park.
Paghi poco nulla per uno spettacolo di miserabili.
E fa un freddo da spegnerti i pensieri, fa Vincenzino stringendosi nelle spalle gonfiando le guance e sbuttando fuori il labbro tremolando. Nun se capisce come fa a piacerti Dotto’.
Si alza, il Dotto’. Si sbatte i pantaloni lisi ma dignitosi. S’aggiusta le bretelle, si mette il cappello il cappotto e il giornale sottobraccio. Poi piglia l’ombrello.
Vincenzino corre ad aprirgli la porta. Quello fa il gesto come a ripararsi dalla malevolenza del cielo, poi si ferma.
- Vincenzi’, hai visto comme chiove ‘ncopp’a sta città?
- Si.
- A Praga nun chiove. Nevica.

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8.3.03

 
E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Si passa in continuazione in questa dannata città.
Si passa e non ci si ferma.
Si passa e non ci si guarda.
Adesso poi che sto ricarburando, adesso poi che il Pallone per sette giorni si è sgonfiato e non ha rotolato per queste vie, adesso poi che fatico a ricordare connettere battere Qwerty sulla tastiera dopo 7 di giorni di forzata pausa, beh tutto mi sembra ancora più fottutamente veloce.
Stamane sono riuscito di casa.
L’ho fatto per ricordarmi della gente, per vedere se tutti quei volti erano ancora lì mischiati ben bene.
Non ti chiudo nemmeno la porta e la prima brutta, sconvolta, quel poco che resta spettinata faccia che ti incontro mi si scandalizza di dentro: se di solito lo specchio non è mai stato un leccaculo con me ( ed io lo ricambio di prassi sputando sul vetro) stamattina addirittura mi restituiva dei lineamenti scolpiti da un Picasso sano.
Esco, puzzando di Guernica, e mi porto a spasso tentando di reinserirmi in un similfinto ecosistema cittadino. Faccio buongiorno alle signore, compro il pane sottocasa lasciando gli spiccioli di mancia, riesco a intavolare un inutile discorso sul tempo col meccanico che il mese scorso mi ha ciulato cinquanta euro per una batteria usata.
Fregato, ma con cortesia.
Che poi questa è una cosa di me veramente stupida, da prendermi a calci in faccia: uno mi fotte, me lo mette nel bofice, mi inchiappetta sodo mollandomi una sola incredibile.
Poi alla fine mi fa la battuta, mi entra in simpatia, insomma si va a ber qualcosa assieme e pronto a giurarci che la volta dopo torno da lui. E magari gli pago anche il caffè.
Comunque una volta in strada dopo neanche una settimana di lontananza dal mondo reale dico, in una settimana non succede niente non parte la guerra non crolla un palazzo non riesco a cucinare nulla di commensitible in una settimana male che vada mi faccio cinque docce e scivolo sul sapone ma una settimana davvero per me è nulla insomma dopo così poco tempo sono li sul marciapiede imbaccuccato con auricolari e cappello e voi andate così veloci.
Dove?
Non fa ancora cosi caldo qui da noi sapete e voi mentre mi sfiorate che dovrebbero mettere un autovelox per i pedoni voi sbuffate perché alle otto di mattina siete già stanchi e buttate fuori vapore acqueo in segnali di fumo corporeo che alle otto già contiene tossina sbuff sbuff dove cavolo andate con quel passo deciso?
Quale inutile mansione dovete svolgere cinque inutili minuti prima?
In quale missione di pace siete così coinvolti da non poter vivere da normali?
Voglio dire, ho provato ad allungare il passo, a tornare subito come voi, ma primo mi son sentito subito debole con uno svarione che invocava “zuccheri capo, zuccheri” e allora ho messo in play il cervello, ho rallentato e ho ripreso a camminare.
Dalla parte opposta.
Verso Città Alta, qui è Bergamo, ormai lo sapete, verso le nuvole, il parco, la funicolare.
Verso la parte opposta della città operaia magutta per eccellenza.
Mentre voi correvate al lavoro, io rallentavo alla vita.
Portavo dentro mp3 di soundtrack personale, e voi scorrevate. Scorrevate sulle note, quasi vi adattavate al ritmo, quasi eravate per una canzone armonici. Nelle pause tornavate scontrosi, ma bastava uno stacco nuovo, una rullata di grancassa, un accordo di piano e già ritornavate a capirne di più su come muoversi in questa vita.
Che poi tra cent’anni io non scriverò più, ma voi non vorrete mica star li ancora a correre.
Questo pensavo
E credetemi, avevo un sorriso così beota stampato lì fra i denti che sicuro mi avreste dato un cazzotto in faccia.
Ah: bentornati.

#

 

 

 
   


Pixel stretti:


   


Questo è
l'ultimo
inchiostro
mercantile
fresco di
sale e rime.


Qui ultimamente
sto in compagnia
di bella gente.

 

carta

Quest'altro
invece
è a spasso
per Santiago
con le prime
piume.



Il Pallone,
se sei così vecchio,
ora l'avresti perso.

Fortuna che,
come niente,
ora è tornato
tranquillo come sempre.

Se spulci
attento
già c'è l'eco
archiviato
di quel che ero.

Comunque
di certo
rimane solo
lo Sghembo,
ed è questo:

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Vi lascio la punteggiatura, ma non nel mezzo: quello e' tutto fra la mia testa ed il blu.
Percio', nel caso vi piaccia per gloria o pecunia, almeno un grazie o una mancia rauca.
 
   
creativo